Sogno, etica e coerenza, la leadership secondo Bini Smaghi

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Una solida base di fiducia in se stessi, integrità e tenacia, una buona dose di resilienza, un pizzico di visionarietà e la forza di accettare le sfide più alte. È la ricetta della leadership che si ricava dalla storia professionale di Lorenzo Bini Smaghi, oggi Presidente di Société Générale, con una carriera di economista trascorsa tra la Banca d’Italia e la BCE. Il suo è senza dubbio un cursus honorum di respiro internazionale, scandito da cambiamenti anche audaci e da scelte “pioniere” che col tempo si sono dimostrate vincenti. Ne ha parlato con Andrea Beltratti e gli studenti di EMF - Executive Master in Finance in uno dei recenti incontri nell’ambito delle Leader Series.

«Fin da quando ero studente in economia a Lovanio – ricorda Bini Smaghi – pensavo che avrei voluto lavorare al Servizio studi della Banca d’Italia, mi sembrava un luogo dove poter incidere concretamente sulla realtà, contribuire in qualche modo a “cambiare il mondo”. Non ci riuscii subito perché all’epoca della laurea, il 1978, i titoli di studio stranieri non erano riconosciuti per le carriere pubbliche in Italia. Ma questo mi offrì l’opportunità di fare altre esperienze formative all’estero, tra cui un Master of Arts in Economia in California e un dottorato all’Università di Chicago, e mi permise, una volta rientrato in Italia, di superare il concorso (nel frattempo il riconoscimento dei diplomi era entrato in vigore) e di iniziare un’esperienza al Settore internazionale del Servizio Studi di Bankitalia che ancora oggi ritengo fondamentale nella mia carriera». Poche battute da cui si può già trarre una prima suggestion: la formazione di un leader sta anche nella capacità di trasformare gli ostacoli in opportunità, di trovare i percorsi alternativi per raggiungere un obiettivo e – perché no? – di cogliere il momento opportuno.

Tra Roma e Francoforte

E di occasione da cogliere si può parlare anche a proposito di un’altra scelta fondamentale: l’approdo in Europa. «Era il 1994, con un neonato Trattato di Maastricht e un’unione monetaria ancora tutta da fare, quando arrivai a Francoforte. Erano ancora pochi quelli che credevano a una Banca centrale europea, ancor meno quelli che volevano andarci. Solo quattro anni dopo la BCE era una realtà. Ma fu proprio quando Francoforte stava diventando il centro della politica monetaria europea che decisi di accettare una nuova sfida, offertami questa volta da Mario Draghi, allora Direttore generale del Tesoro. Fu così che rientrai in Italia come responsabile delle Relazioni finanziarie internazionali presso il Ministero dell’Economia. Lavorai con sette ministri diversi, dal 1998 al 2005, anno in cui si riaprì per me l’esperienza europea con l’ingresso nel Comitato esecutivo della BCE, fino alle dimissioni nel 2011 a seguito della caduta del governo italiano». Un periodo appassionante, a volte difficile, che si trasforma di nuovo in una lezione di vita e di leadership: «Ho imparato che nella vita bisogna saper guardare avanti – ribadisce Bini Smaghi –, non farsi bloccare dalle incognite e imparare dai propri errori. E soprattutto non cedere sui principi».

Lo spirito dell’economista politico emerge anche nel ricordo della sua esperienza alla Chicago University negli anni Ottanta, culla a quei tempi – come sottolinea Beltratti – di una vera e propria rivoluzione culturale in economia. Bini Smaghi non ha dubbi: «Il PhD a Chicago è stata un’esperienza fondamentale, il posto in cui ho imparato di più. Soprattutto ho imparato che nella vita non bisogna mai mettere l’asticella troppo in basso».


Trasformare le difficoltà in risorse

Tra le pieghe dell’attualità economica che non manca di caratterizzare il dibattito – ad esempio la difesa del Quantitative Easing come unica misura d’intervento possibile in mancanza di leve fiscali e di riforme strutturali in mano alla UE – si torna a parlare di leadership. Che, secondo Bini Smaghi ha a che fare anche con la ricerca della soddisfazione personale e collettiva e con la convinzione che ciascuno nel suo piccolo può cambiare le cose: «Il PIL è la somma di tante azioni individuali». Inoltre, continua l’economista, è essenziale circondarsi delle persone giuste con le quali impostare una relazione collaborativa e dialettica. Un vero leader sa che i risultati nascono dal lavoro di squadra, sa scegliere e valorizzare le persone migliori, ottenendo il meglio da loro. Preferisce le “teste pensanti” e rifugge dagli yes-men: «Molto meglio avere dei bravi collaboratori che dei collaboratori che ti dicono quanto sei bravo».

Il messaggio conclusivo arriva in risposta a una domanda sulla mancanza di veri leader nello scenario europeo: «I populismi non portano lontano. Occorre saper prendere delle decisioni anche difficili, con la lucidità e la lungimiranza di chi sa di rinunciare a un beneficio immediato per averne uno maggiore in futuro». Questo vale nella politica come nella vita: «L’esperienza mi insegna che le difficoltà possono diventare risorse. E che il tempo premia la coerenza».

Fonte: SDA Bocconi School of Management

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