Business Innovation 4 Sustainable Finance: ESG-investing & finanza sostenibile: sfide e opportunità
EMF - Executive Master in Finance C-Suite Forum
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La finanza può fare molto per la sostenibilità, sia consentendo di dirigere le risorse verso le aziende più virtuose sia esercitando pressioni sulle aziende meno virtuose per dare loro un incentivo al cambiamento di rotta nei giusti tempi sia ancora aiutando i clienti ad acquisire la cultura e le informazioni per poter distinguere le possibilità di investimento. Il panel 1 del EMF C-Suite, riguardante ESG-investing & finanza sostenibile: sfide e opportunità, ha discusso questi temi riunendo Andrea Ghidoni Direttore Generale Intesa Sanpaolo Private Banking, Giuliano Giannessi Chief Financial Officer D&G, Loredana La Pace Managing Director e Country Head Italy Goldman Sachs Asset Management, Luca Manzoni Responsabile Banco BPM – CIB, Andrea Mignanelli CEO Cerved, Emilia Trudu Chief Financial Officer Inwit.
Negli Stati Uniti l’acronimo ESG è in discussione soprattutto per quanto riguarda l’elemento sociale, al punto che qualche grande player preferisce parlare di “decarbonizzazione”, limitando quindi agli sforzi ambientali, in particolare per la lotta al cambiamento climatico, il perseguimento della sostenibilità. I Chief presenti al Panel adottano invece una visione molto più “europea” anche se possiamo parlare di “sostenibilità 2.0”, consistente in una visione pragmatica che tiene conto dei costi e delle difficoltà di breve periodo, senza rinunciare allo sforzo di riconciliare creazione di valore economico con aspetti ambientali e anche sociali, osmosi che può essere definita uno dei grandi mega-trend della nostra epoca. In una risposta a una survey istantanea, più di metà ha affermato che la sostenibilità può essere perseguita solo da aziende che siano economicamente solide. Peraltro, in una risposta ad un’altra domanda, i partecipanti ritengono che il primo elemento che rende la sostenibilità ambientale e sociale compatibile con quella economica sia la leva del costo del capitale, seguita a poca distanza dal coinvolgimento delle persone che lavorano in azienda e dalla disponibilità dei clienti a privilegiare beni e servizi prodotti da imprese che pongono la sostenibilità in cima alla missione aziendale. Il dibattito prevalente negli Stati Uniti è peraltro utile anche per l’Europa, in quanto invita regolatori e policy-maker ad essere pragmatici sul raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità anche, e forse soprattutto, dal punto di vista dei tempi necessari, che devono essere adeguati alla difficoltà della sfida per il mondo produttivo. Inoltre, i consumatori europei restano convinti in merito alla validità del modello che pone la sostenibilità ambientale e sociale nella sfida complessiva della creazione di valore, ma, soprattutto in temi di crisi, nell’ambito di un’attenzione al prezzo finale di vendita, che non può crescere più di tanto per riflettere eventuali maggiori costi della sostenibilità. Questa considerazione è ancora più rilevante per paesi come l’Italia, dove l’ossatura produttiva è composta da piccole e medie imprese che hanno minori economie di scala e minori possibilità di utilizzare le risorse per creare esternalità positive. Le corporate e financial institution devono peraltro essere oneste, in quanto il greenwashing viene severamente punito da regolatori, dai mercati finanziari e dai consumatori stessi. È meglio essere prudenti e comunicare solo quanto svolto effettivamente invece di obiettivi raggiungibili solo nel lungo periodo. Peraltro la finanza ha sempre di più gli strumenti per assistere le corporate in tutti i loro sforzi, avendo ormai collaudato prodotti come i green bond e green loan che sono applicabili a quelle imprese che, anche per vocazione settoriale, sono in grado di proporre il finanziamento di progetti di investimento completamente dedicati alla sostenibilità, e i sustainable bond e loan, adatti alle imprese che intendono raggiungere obiettivi di sostenibilità più generali e genericamente definiti su orizzonti di tempo più lunghi, necessari al perseguimento di una “transizione sostenibile”. Il C-Suite concorda sulla crescente rilevanza della misurazione, che deve essere più omogenea di quanto avvenga oggi: siamo ancora nelle fasi iniziali della misurazione della sostenibilità, come accadeva decenni fa per il rischio di credito, e nelle fasi iniziali è normale ritrovare maggiore eterogeneità di giudizio e bassa correlazione tra i rating di varie agenzie. Tale eterogeneità però non serve al mercato, confonde le idee a investitori e finanziatori, ed è entrata nel radar dei regolatori europei, che vogliono indurre il settore privato a giudizi più omogenei, necessari per dare alle imprese veri incentivi, anche in termini di misurazione di KPI e collegamento tra incentivi e raggiungimento degli stessi, necessari per accelerare davvero una transizione verso la sostenibilità.
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