Milano, 15 giugno 2020
C’è chi la considera solo retorica, chi ne ha una vaga speranza, chi un’ottimistica fiducia. Ma ci sono anche ambiti economici per i quali l’espressione “ne usciremo migliori” è una stretta necessità e può diventare una scelta strategica. È il caso del settore del food & beverage, uno dei più toccati dalla pandemia di Covid-19, sebbene con effetti diversi: da un lato l’industria agroalimentare, che non si è fermata e anzi ha moltiplicato i suoi sforzi; dall’altro il mondo della ristorazione che sta uscendo ora da tre mesi di lockdown totale, forse la più grave paralisi di sempre.
Va da sé che per il settore alimentare “uscirne migliori” vuol dire ripensare il significato di “bontà” di ciò che viene prodotto, venduto, servito e consumato. È questo il punto da cui l’intera industria deve e può ripartire. Ne è convinta Vittoria Veronesi, Direttore del Master of Management in Food and Beverage (MFB) di SDA Bocconi, alla quale abbiamo chiesto quali sono le risorse strategiche di cui le imprese dispongono in questo momento e le possibili direttrici della ripresa.
Che cosa insegna un’esperienza così difficile all’universo F&B?
Per dirla in modo estremamente sintetico, ci ricorda che è necessario tornare alle origini. In questo caso non è solo un’espressione figurata: significa dare importanza alla tracciabilità dei prodotti, capire da dove provengono e quali percorsi produttivi seguono. L’emergenza sanitaria allarga il concetto di bontà/qualità di un alimento, rendendo fondamentale la salubrità di ciò che mangiamo e beviamo, oltre naturalmente alle qualità organolettiche e al gusto. Il prodotto dev’essere “buono” non solo per il consumatore finale ma per tutti i soggetti coinvolti nella filiera produttiva, compresa la catena distributiva. E con l’importanza della filiera si fanno strada anche forme di solidarietà verso i piccoli produttori, il rispetto per chi lavora, l’attenzione alla genuinità e alla stagionalità. Gli stessi produttori si stanno associando tra di loro in varie forme per fare “massa critica” e raggiungere i consumatori anche a fronte di maggiori difficoltà logistiche e distributive. Stanno mandando un messaggio rassicurante: noi ci siamo.
Nel piatto, quindi, non arriva più un semplice alimento.
Sicuramente possiamo parlare di un prodotto “aumentato” per il quale le caratteristiche fisiche non rappresentano l’unico elemento di valore. Nella motivazione di acquisto confluiscono anche i servizi correlati – dalla consegna a domicilio ai suggerimenti per la cottura e il consumo; la sostenibilità ambientale nella produzione, nel packaging, nella logistica (consapevoli che i tempi del green-washing sono finiti); la storia e la “narrazione” del prodotto; e naturalmente l’igiene e la sicurezza. Sono tutti elementi che non possono più essere considerati periferici. Anzi, differenziano un prodotto nella percezione dei consumatori e possono distanziarlo nettamente dai concorrenti, ponendolo in un’altra fascia di mercato – è il caso, ad esempio, di un olio EVO di un produttore pugliese, che ne ha fatto un’eccellenza proprio nella “patria” dell’olio di oliva. Certo, tutte queste attenzioni si sono risvegliate in un periodo in cui i cambiamenti della vita quotidiana hanno concesso a molti di dedicare più cura all’alimentazione e alla tavola. Ma credo che siano destinate a durare.
Che cosa succederà dopo?
È una domanda difficile perché non abbiamo precedenti a cui fare riferimento. Credo che nella ristorazione la ripresa sarà trainata dal desiderio di ritornare a una dimensione conviviale, di piacere e spensieratezza che ci è mancata in questi mesi, ma che deve assolutamente confrontarsi con l’attenzione alla sicurezza. La percezione è che soprattutto per il consumatore con una capacità di spesa medio-alta questo diventi un discrimine nella scelta. In questo senso credo che si possa parlare di pre e post-Covid nella ristorazione e nella socialità in generale, qualcosa di simile a quello che è stato il pre e post-11 settembre nei viaggi. Più in generale aumenterà l’attenzione del consumatore all’autenticità e alla coerenza di quanto dichiarato dal produttore/venditore/ristoratore e le conseguenze per chi risulta inaffidabile saranno rapide e pesanti. Insomma, ora non si può più scherzare.
In un settore tendenzialmente tradizionale come la ristorazione, soprattutto nelle realtà medio-piccole, che spazio può avere l’innovazione per rispondere alla crisi?
A causa delle norme di sicurezza tutti i ristoratori dovranno affrontare nell’immediato un aumento di costi e una diminuzione dei ricavi, si pensi alla riduzione dei coperti per rispettare il distanziamento. Questo richiede una riorganizzazione dell’attività – ad esempio più turni di cucina – e soprattutto logiche di risparmio che non compromettano la qualità dell’offerta, come la riscoperta della stagionalità dei cibi o la valorizzazione e l’utilizzo di ingredienti cosiddetti “poveri” o addirittura scartati – si pensi alle ricette tradizionali o regionali che riscoprono l’utilizzo di materie prime “secondarie”. Il tutto senza trascurare il servizio e la presentazione. Credo che la chiave del successo sia sempre il buono, bello e ben fatto. Oggi ancora di più. Più che innovazione la chiamerei riscoperta.
Quali saranno le caratteristiche di un manager del Food & Beverage post-Covid e come la formazione può contribuire a crearlo?
Un suo tratto distintivo sarà di certo il ritrovato orgoglio di lavorare in un settore che è stato un pilastro per il paese in un momento critico e anche la riscoperta del cibo come valore culturale, come fattore e veicolo di condivisione di qualcosa che va oltre la pura esigenza di nutrirsi. Poi sicuramente un manager del F&B, come di altri settori, dovrà coltivare la flessibilità e la resilienza, tratti fondamentali per uscire da una crisi più forti e migliori. È sempre stato un focus del Master MFB e a maggior ragione continuerà a esserlo, insieme ad altre competenze specifiche essenziali ma spesso sottovalutate in questo settore: penso alle capacità analitiche-quantitative e alla sempre maggiore importanza dei dati nei processi decisionali di un manager; alla combinazione di conoscenze trasversali e specifiche per un macro-settore composto da moltissime sub-industries – ci sono enormi differenze tra aziende manifatturiere, retail, ristorazione e hospitality, per non parlare delle diversità tra le categorie di F&B (ad esempio, secco-fresco-surgelato oppure wine-coffee-soft drinks). Il nostro master punta a fornire entrambe le competenze, quelle di general management e quelle specialistiche per i singoli ambiti, utili anche per orientare la scelta professionale del partecipante. Cogliere idee e stimoli da ambiti diversi è anche un grande allenamento di lateral thinking, altra dote fondamentale per un manager, tanto più nell’universo del F&B che dovrà sempre più trovare un punto di equilibrio tra radici e innovazione.
SDA Bocconi School of Management