Pogutz, le molte dimensioni (concrete) della sostenibilità

Due incontri sul tema

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Trovare un comun denominatore tra la Blue Economy – estensione sostenibile del concetto di economia dell’oceano – e le PMI europee, a prima vista, non è facile. Eppure il fil rouge tra i due interventi di Stefano Pogutz, neo-direttore del Full-Time MBA di SDA Bocconi, al summit della One Ocean Foundation, presso Borsa Italiana, e successivamente nell’incontro di presentazione del Libro Bianco “Generali SME EnterPRIZE” era assolutamente evidente: in entrambe le occasioni la parola-chiave è stata sostenibilità. È sulla reale applicazione di questo concetto, infatti, che si fondano sia le prospettive di crescita delle economie dei diversi Paesi, sia soprattutto le speranze di futuro per l’ecosistema globale.

La salute dell’oceano inizia sulla terraferma

È proprio nella sua veste di professore di Sostenibilità che Pogutz ha saputo evidenziare i nessi tra ambiti apparentemente così distanti tra loro. Lo ha fatto partendo dalla presentazione, nel primo dei due incontri, della Ocean Disclosure Initiative, una nuova metodologia per misurare l’impatto delle imprese sugli ecosistemi marini, ideata e progettata da One Ocean Foundation – di cui Pogutz è presidente del Comitato scientifico – in collaborazione con SDA Bocconi, McKinsey & Company e CSIC. Allargando, appunto, la prospettiva di analisi: “Per eliminare o mitigare le pressioni delle attività umane sugli ecosistemi marini non basta guardare solo ai settori che direttamente interagiscono con il mare, come ad esempio i trasporti marittimi o la pesca, ma è necessario coinvolgere tutti i settori industriali, anche quelli che operano sulla terraferma. Secondo gli ultimi studi, la maggior parte delle minacce alla salute dell’oceano, quali ad esempio l’inquinamento da plastica, oppure la crescente acidificazione determinata dall’assorbimento da parte dei mari dell’anidride carbonica emessa in atmosfera, hanno origine terrestre”.

Il concetto di “sostenibilità” non è certo nato oggi, si parla di sviluppo sostenibile dagli anni ‘80 – ha proseguito Pogutz – e per quanto sia stato “istituzionalizzato” le sfide aperte sono ancora moltissime. Per la Ocean Disclosure Initiative si è partiti dalla mappatura dei sistemi di valutazione della sostenibilità esistenti cercando di integrare le metriche, finora prevalentemente finanziarie, con criteri “science-based” che fossero in grado di far comunicare tra loro le imprese, la finanza e la scienza. Come per le questioni climatiche, è solo col coinvolgimento di questi tre attori che è possibile pianificare e attuare un cambiamento in tempi ormai sempre più stretti. “Abbiamo anche introdotto una sorta di rating della sostenibilità per le aziende sulla base di una serie di indicatori selezionati dalla comunità scientifica: ne è risultata una matrice che individua da un lato 17 settori industriali a maggiore impatto e dall’altro 11 indicatori di pressione sull’ecosistema marino”.

L’efficacia di questo framework può essere garantita solo considerando la complessità dei fattori e la necessità di un approccio ampio e di fine tuning successivi. “Gli obiettivi che ci poniamo”, ricorda Pogutz, “sono cinque: creare attenzione e consapevolezza nelle imprese, promuovere la trasparenza, spingere la risposta operativa, misurare i rischi e favorire le pratiche più virtuose”.

Sostenibilità e PMI, un matrimonio d’interesse (reciproco)

Le PMI sono cruciali nell’agenda della sostenibilità europea e la sostenibilità è un fattore strategico per le PMI. Su questa premessa si fonda il Libro Bianco dal titolo “SME EnterPRIZE”, frutto della collaborazione tra Generali e SDA Bocconi, che Stefano Pogutz ha presentato a Bruxelles nell’incontro “SMEs: Drivers of Sustainable Economic Recovery and Growth in Europe”.

Il coinvolgimento delle piccole e medie imprese, pilastro dell’economia del continente, è fondamentale per garantire il successo della transizione sostenibile europea. D’altro canto, la sostenibilità è un fattore di sviluppo ormai cruciale per le stesse PMI, soprattutto dopo la pandemia, non solo per la spinta innovativa che produce, ma anche per garantire a queste imprese l’accesso a supply chain certificate, migliori condizioni di finanziamento, partnership strategiche. Il Libro Bianco si è posto l’obiettivo di analizzare l’approccio delle PMI europee alla sostenibilità, le criticità e i driver di successo.

La pubblicazione sembra anche evidenziare un singolare paradosso: l’approccio delle PMI europee alla sostenibilità è ancora informale e non strutturato, con ampi margini di miglioramento, ma le imprese fanno più di quanto siano consapevoli di fare o siano capaci di comunicare. Alcuni numeri lo rivelano: solo il 13% delle PMI europee dichiara di aver intrapreso strategie di sostenibilità e il 21% di essere in procinto di farlo; ma sono molte di più in realtà quelle che hanno adottato politiche di welfare per i dipendenti (76% delle PMI in Austria, 68% in Ungheria, 66% in Italia e Spagna, 65% in Germania), di salvaguardia ambientale (69% in Spagna, 67% in Italia, 66% in Svizzera) e di sostegno ad attività sociali, formative, benefiche o culturali sul territorio (ad esempio, l’84% delle PMI tedesche).

Il libro bianco individua poi 5 barriere principali alla transizione sostenibile delle PMI – mancanza di competenze interne e risorse finanziarie, fattori istituzionali e burocratici, carenza percepita di domanda per alcuni prodotti sostenibili e mancanza di strumenti dedicati alle PMI – a cui risponde con 15 iniziative e strumenti economici e non economici che vanno dalla formazione agli strumenti finanziari ESG-linked, a nuovi assetti regolamentari per le PMI, a criteri ESG nelle gare pubbliche, a nuovi strumenti di reporting. “I policy maker, le grandi aziende, il mondo della finanza, dell’università e della ricerca”, ha concluso Pogutz, “sono tutti chiamati a creare partnership pubblico-privato per sostenere le PMI in modo coordinato”.



SDA Bocconi School of Management 

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